da "Egeo"
Isole
Ogni isola scomparve,
i monti si dileguarono,
Apoc. XVI 20
La nostra isola
l'abbiamo edificata
sotto l'arroganza dei venti.
L'abbiamo
scoglio dopo scoglio
strappata al caos.
In queste faglie, queste figure
pazientemente nominate,
ogni giorno risale il terrore.
Le nostre case
un po' di bianco
le distingue tra i sassi –
freschezza sorpresa
da un ribollio occulto
al fondo delle cave.
Restare là
in silenzio, in ascolto
di altre isole che spuntano più lontano.
Il tempo apprende la sua lezione di cose
l'arido e il dolce
nelle cavità offerte dal nostro corpo
la nostra polpa ancora calda
che cerca la perfezione della calce
mentre imbianchiamo il sentiero del precipizio.
Noi siamo cresciuti tra il mare incredulo
e anfratti di muri –
nelle cavità, nelle dune, nei crinali
lasciati dalla mano
– a volte su una finestra –
fermenta la luce –
come se là vi fosse
un'anima da bruciare.
Dinanzi a noi questi venti, queste tenebre
aperte dalla prua
e tu leggi e tu dici
e non comprendi.
Sulle nostre isole c'è sempre stato un sentiero,
forse lo stesso che gira tra le rocce.
C'è sempre un tornante, lo stesso forse
che tra i bruni e i grigi sbottona una cosa chiara,
fiamma bianca che si sveste –
il fianco dolcemente svasato
dove indugia un desiderio sconosciuto.
All'interno: penombra d'olio e d'incenso
che tiene abbracciato
un viso annerito dall'amore.
Noi abbiamo confidato nelle viscere,
nell'oscuro dolore della terra.
La nostra sola arma: questa calce cieca,
interlocutore inesorabile.
Più tardi, nella densità notturna,
lo scheletro igneo di un riccio di mare...
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dalla sezione "Diario clinico"
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Avrò passato la parte più luminosa del mio tempo in questi luoghi dove si concentra il dolore degli uomini. I miei occhi si saranno riempiti quotidianamente delle immagini di questa decomposizione della forma umana, della sua disfatta inevitabile. Se si deve tentare di comprendere il bene come il male e agire, non rimane molto spazio allo sfoggio dei sentimenti. Ci si raggomitola nell'amore ostinato per la vita, il desiderio di guarire – continuamente sventato, deluso – che è anche il desiderio di guarirsi. Su questo filo teso dobbiamo quindi camminare.
Tra queste bocche imbavagliate apprendo ogni giorno una nuova composizione dello sguardo, corrosione della speranza e della notte, chimica dell'intensità, della solitudine, dell'estrema solitudine. A volte altre cose. Infrangibili, come se un chiarore o una pulsazione potessero essere infrangibili.
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Un'altra sera
qualcosa tremava
non diceva parola
la memoria vuota
di tonnellate di mare
macinate nel nero
ruggito murato
il freddo delle lenzuola
e nessuno sente
il nuotatore che voga
muto di colori
nell'acqua aperta
nuoto senza memoria –
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Figure dove il movimento in un istante ha preso fuoco, dove il tempo e la paura si sono donati, placati dentro una mano.
Giorno e notte nelle nostre ossa, nelle nostre parole la voce dei venti e delle onde, la musica delle macine.
E la luce respira dove può.
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da "Notti"
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Dio come è dolce l’aria al tatto
Come è buona la luce da vedere
E come mi avvolge
Tenera, spietata
La notte –
No, non estinguete mai la sete
di portare l’oscuro verso un po’ più di luce
dove vedere, toccare sentire meglio,
lasciatemi sempre aperta la porta
dove esterno e interno respirano insieme –
e cosa c’è di più chiaro per lo spirito
che aprirsi sull’inimmaginabile
che tutto quello che ignoro e il poco che
comprendo siano una cosa sola e innumerevole
che senza tutti questi corpi ed erbe mossi
dalla stessa piena di linfe
di venti di lucori nell’occhio, nella mano
non avrei mai pensato niente –
né sentito il gelsomino nella notte.
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da "Poesie d'estate a Sidi_Bou-Said"
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per Jacque Réda
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Cavalletta e Zampa–rosa
ventre gremito di pesci
dormono sazi, saporitamente –
il vento soffia dal mare
strigliando il dorso delle onde
cigolate, schioccate vecchie persiane
la risacca copre le sue parole
così non sapremo mai
cosa pensa della Cina
e dell’immortalità –
da dove e come tanta fretta
in fondo nessuno lo sa
il mondo – diceva Montaigne
non è che un’altalena perenne
proprio come il nostro destino
e questo bisogno di porre
senza sosta domande a Dio
perché questo e quest’altro
su quello che dobbiamo pensare
del mistero di essere qua
poiché Dio non parla –
(salvo forse a quelli che sanno
donare senza domandare niente – )
sento i vespieri è l’ora
la tavola dei cieli è apparecchiata
meglio non perdere troppo tempo
con il nostro pungiglione irrisorio
quando si è corpo commestibile
dorato di fronte all’Eterno –
e tu pensi all’allegria
del lampo nell’acqua, al riso
della rondinella dal becco d’acciaio –
al gusto squisito della triglia
grigliata con le spezie sulla brace
ciascuno a chiedersi
con quale salsa sarà
mangiato sulla tavola immensa
secondo le leggi eterne –
tutti questi giorni cuciti di speranza
di vederci un giorno oh un po’ più chiaro
e venuta la sera lui mangia
un filetto di tacchino alla griglia
ascoltando la divina
musica di Amadeus –
se il silenzio dei mondi
non esplode mai non sarà
che il dolore e la gioia
non hanno senso che per gli uomini?
L’amore senza limiti di Cristo
lo sguardo lucido di Epicuro
il rigore di Spinoza
cammini ardui quanto altri mai
sono risposte senza rispondere
nostra sola beatitudine –
in cammino verso l’ignoto
umano tropo umano certamente
io posso comunque amare
stringere questa cosa chiara
finché riesco nella mia notte
ad amare almeno dire sì
a un’erba a un sasso
allo spirito al corpo umani
cercando un po’ di luce
malgrado l’orrore la follia,
"sì" come un lume di sera –
l’aria è crivellata di gridi sottili
tutto è balzi e tuffi
scivolamenti e rimbalzi di
corpi lanciati a tutta velocità
come il pennello di Wang Mo
il matto con l’inchiostro che vola
l’irruzione dei rondoni
come i fili di un tessuto
ebbri di un banchetto gioioso
totalmente assorbiti
dall’esercizio di vivere –
seduto alla finestra
il mare a poco a poco inabissato
nelle sue fosse senza luogo, vedo
il biancore dei fondi
ascolto a lungo nel buio
senza pensare ad altro che
questi niente che parlano alla mia anima
e la mia vita invecchia ancora
senza rinnegare la luce –